Occorre procedere con unità d’intenti e massima coesione tra il mondo del vino e quello della ricerca, per provare a superare gli attuali ostacoli normativi che impediscono l’utilizzo di varietà resistenti/tolleranti alle fitopatie per la produzione dei vini Doc e, sul fronte delle Tecnologie di evoluzione assistita (Tea), la sperimentazione in campo. È questo l’appello lanciato a Mezzacorona nell’ambito di un convegno organizzato e promosso da Alleanza Cooperative Agroalimentari e dall’UGIVI-Unione giuristi della vite e del vino, dal titolo Il ruolo dell’innovazione genetica per un nuovo modello di viticoltura: strumenti, ostacoli e tempistiche, che ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti istituzionali, del mondo della ricerca scientifica e del comparto vitivinicolo.

Un tema inevitabilmente legato alle recenti politiche europee, dal Green deal alla più recente proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che prevedono una sostanziale riduzione dei fitofarmaci entro il 2030. Ma “occorre modificare il Testo unico della vite e del vino e l’impostazione del registro delle varietà di vite – ha dichiarato il Presidente del Comitato nazionale vini Dop e Igp, Attilio Scienza – “che pongono dei limiti normativi rispetto alla possibilità di introdurre ed utilizzare le varietà resistenti per la produzione dei vini Dop. La ricerca sta lavorando da decenni su questo fronte – ha proseguito Scienza – ora occorre solo un’iniziativa legislativa e, soprattutto, che qualcuno faccia il primo passo. Rispetto alle Tea, le Tecniche di evoluzione assistita, non bisogna farsi illusioni: anche quando ci verrà data l’autorizzazione, occorrerà molto tempo prima di poter produrre le piante di vite ottenute con le nuove tecnologie che poi – ha ricordato – devono essere inserite nei disciplinari di produzione”. In merito all’importanza del fattore tempo ed alla necessità di andare avanti sulla strada dell’innovazione genetica è intervenuto anche Mario Pezzotti, Direttore del Centro ricerca innovazione della Fondazione E. Mach: “il percorso della ricerca deve andare avanti per vent’anni per poter dare delle soluzioni e delle risposte e l’Italia è sicuramente all’avanguardia sotto il profilo tecnico in quanto siamo in già in possesso di validi programmi di miglioramento genetico”.

Rispetto alle nuove tecnologie di evoluzione assistita, come il genome editing e la cisgenesi, l’europarlamentare Paolo De Castro ha ricordato che “per poter procedere con le Tea la Commissione europea deve mettere sul tavolo un nuovo regolamento che chiarisca definitivamente le differenze tra mutagenesi e transgenesi” essendo necessario un nuovo percorso autorizzativo che consenta anche la sperimentazione in campo delle nuove varietà resistenti. Secondo l’europarlamentare Herbert Dorfmann la sentenza della Corte di giustizia Ue del 2018 “ha correttamente sentenziato che, sulla base del Regolamento del 2001, le Tea ricadessero di fatto nella stessa legislazione che regolamenta gli Ogm”. La Commissione Ue ha poi riconosciuto che le New breeding techniques siano sostanzialmente altra cosa dagli Ogm e, soprattutto, che possono rivelarsi potenzialmente assai utili nell’ottica degli obiettivi di sostenibilità fissati nella cornice della Farm to Fork, primo tra tutti la riduzione dei fitofarmaci. Cosa c’è da attendersi ora? Dopo la consultazione pubblica – ha spiegato Dorfmann – si aprirà una fase che porterà ad un nuovo regolamento, ma al momento non sappiamo ancora quali saranno i tempi per la nuova proposta della Commissione. Ci auguriamo che non si arrivi a discutere di questo argomento troppo a ridosso delle elezioni per il nuovo Parlamento che avranno luogo nel 2024”. Ad ogni modo secondo Dorfmann “sarebbe stato auspicabile che la Commissione avesse presentato insieme alla proposta sull’uso sostenibile dei fitofarmaci anche quella sull’uso delle Tea, in modo da procedere di pari passo con unico pacchetto di regolamenti”.

Con l’applicazione delle Tea come cambierebbe la viticoltura? “Sarebbe possibile effettuare delle mutazioni mirate che andrebbero a generare dei cloni, piante migliorate rispetto al carattere della resistenza – ha detto Mario Pezzotti – ma indistinguibili rispetto ai cloni che potrebbero essere ottenuti da mutazioni naturali”.

Sotto il profilo normativo “il problema non è europeo, bensì nazionale”, ha chiarito Stefano Vaccari, Direttore Generale Crea che ha ricordato come ci sia già “una proposta parlamentare, presentata nella scorsa legislatura che mira a semplificare l’attuale normativa e a promuovere a livello nazionale un iter di sperimentazioni in campo delle varietà resistenti. Attendiamo ora di capire quale sarà l’orientamento politico del ministro Lollobrigida. Noi siamo pronti, il Crea ha già un centinaio di linee pure che attendono solo di essere sperimentate”.

(Uff. Stampa Alleanza Cooperative Agroalimentari)

Di Redazione

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