Il termine osteria viene dall’antico francese oste, ostesse che a sua volta deriva dal latino hospite, quindi con la funzione di un posto dove regna l’ospitalità.
A dire il vero tutto cominciò con gli antichi romani con ritrovi chiamati enopolium dove si somministrava solo vino mentre nei thermopolium si servivano anche cibi e bevande caldi conservati in grandi vasi di terracotta incassati nel bancone.
Le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio.
Ben presto divennero anche luoghi d’incontro e di ritrovo, di relazioni sociali.
Il vino era l’elemento principe seguito dal cibo e dall’ospitalità notturna ma portava anche conseguenze malevole come risse gioco d’azzardo e prostituzione.
La storia prosegue fino all’Unità d’Italia tra editti papali, divieti e vari aumenti d’imposte volte soprattutto a frenare il malaffare imperante che spesso riempiva tali luoghi di ritrovo.
La maggior “disgrazia” però per i Romani fu il famoso editto con il quale Leone XII della Genga proibì la consumazione del vino nell’osteria stessa, a meno che il cliente non consumasse lì anche il pasto. Questa proibizione aveva dell’inverosimile per i romani, che usavano ristorarsi, dopo una giornata di lavoro, con un “goccio di vino”. Infatti, se lo si voleva consumare, bisognava comprarlo, facendoselo passare sopra un “cancelletto” che doveva chiudere l’ingresso di ogni osteria. Questa proibizione, fomentò verso il papa, un vero e proprio odio popolano. Non che Leone XII, avesse poi tutti i torti, le osterie continuavano ad essere sede di continue risse, ed è probabile che con questi provvedimenti pensasse di evitarle.
La proibizione del Papa obbligò gli osti, dopo aver cambiato l’insegna “Osteria con cucina”, a chiudere un occhio, o meglio, tutti e due se il cliente si portava lui stesso da mangiare, ordinando solo da bere. Questa usanza dapprima quasi obbligata, prese piede nel popolo, che imparò a racchiudere il pranzo o la cena preparati in casa in
una tovaglia con i bordi legati con le punte all’insù, “far fagotto” consumandolo all’osteria. Dopo il 1870, i “fagottari” – così erano chiamati a Roma – contagiarono anche i Piemontesi, per quanto mangiare nelle osterie non fosse per loro tradizione.
A Roma la maggior parte delle osterie si trovava in zona Trastevere: nell’Ottocento se
ne contavano quasi 600, frequentate da perditempo, prostitute, riottosi ma anche giornalisti e letterati. Le Grotte della Rupe Tarpea e Sora Rosa erano famose per gli ospiti: poeti e artisti. Nel menù spiccavano piatti tipici della tradizione popolare, come trippa, gallinaccio, abbacchio e pizza con le alici.
Questa era la Roma delle osterie, popolari continuazioni degli antichi ostelli per pellegrini. In Campo de’ Fiori c’era la Luna, dove sostò Pietro Aretino; Caravaggio era solito partecipare alle risse presso l’Osteria del Moro alla Maddalena. All’Orso (oggi restaurata in stile chic) Dante si affacciò per assistere al Giubileo del 1300, mentre Goethe racconta di un ardente amore letterario consumato con la bella Faustina all’Osteria della Campana a Vicolo di Monte Savello.
In fin dei conti però le osterie erano luoghi di grande semplicità, dove la figura dell’oste e dell’ostessa regnavano con carisma su una clientela affezionata al vino ed ai piatti.
Sono però le osterie dei primi anni del ‘900 a lasciare interessantissime testimonianze.
Volendone stendere una sorta di piccolo catalogo non si può prescindere dalla Bevitoria di Felicetto al 56 di via Mario de’Fiori, ritrovo di intellettuali. Marietta in piazza Spada era famosa per il miglior vino della città.
Accanto al carcere di Regina Coeli sulla via della Lungara apriva invece i battenti un’osteria dal nome beffardo: Agli uccelli in gabbia con le sue celebri costolette di abbacchio. Madonna Bona, in virtù dell’avvenenza della titolare nella silenziosa
piazza Capizucchi dietro il Ghetto, era famosa per la sua trippa e per il baccalà in guazzetto.
Erano i tempi in cui a Roma le osterie sostituivano i caffè letterari. Basti pensare al Sor Antonio in via Vittoria, frequentato da Boccioni, e amatissimo per gli spaghetti con le “regaglie” (le frattaglie) e per i fagioli con le cotiche. Gli improvvisatori di stornelli avevano il loro punto di ritrovo all’Osteria Nostra in vicolo del Gallo accanto a Piazza Farnese, mentre al Paterellaro in piazza San Crisogono a Trastevere sostava volentieri il poeta Trilussa, celebre per le minestre e per gli spaghetti.
Un mondo, davvero che non esiste più. Ne sopravvive qualche piatto, qualche atmosfera, ma è cambiato lo spirito degli stessi romani. In ogni caso, senza cadere vittima delle trappole del cattivo folklore, volendo una vera immersione nelle osterie romane, qualche indirizzo sopravvive e può essere goduto.
Nel quartiere del vecchio mattatoio, la sosta da Checchino dal 1887 (via Monte Testaccio 30) vale per la grande cantina e per i piatti del “quinto quarto”, cioè gli scarti di macellazione: pajata (l’intestino del lattonzolo), trippa, coda, animelle, coratella.
Alla Campana (via della Campana, 18) i fiori di zucca fritti sono impeccabili.
Mentre all’Enoteca Corsi (via del Gesù, 88), una vecchia bottiglieria anni ’40, si respira atmosfera d’altri tempi.
E’ piacevole pensare infine che dopo anni di “oscurantismo” si cerchi di riprendere un po’ di quello spirito anche se naturalmente con le inevitabili modifiche enologiche di gusto ed ahimè di prezzo.
Tali nuove/vecchie atmosfere le abbiamo constatate in varie realtà capitoline vedi:
- Il Goccetto – Via dei Banchi Vecchi 14 – in uno storico palazzo del 1527
- Sorì – Via dei Volsci, 51 – vino e cibo
- Un’ottima annata – Via Sicilia,245 vino e prodotti tipici
- Tramonti e muffati – Via Santa Maria Ausiliatrice, 105
- Vino e musica classica buccone – Via di Ripetta, 19
- Mescita e ricercatezze alimentari il pentagrappolo – Via Celimontana 21B –
- Vino e musica dal vivo cul de sac – Piazza Pasquino 73 – storica enoteca romana
- Remigio champagne e vino – via Santa Maria Ausiliatrice, 15 – vini italiani e francesi
Per approfondimenti:
- Libri:
– Le antiche osterie romane di Giacomo A. Dente;
– Osterie Romane, raccolta di racconti curata da Augusto Jandolo ed Ettore Veo.
- Canzone di riferimento:
– L’osteria der buchetto di Romolo Balzani.
- Sonetto:
– L’amichi all’osteria di Giuseppe Gioacchino Belli.