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Accadde domani a 30 anni dal metanolo

DiRedazione

Mar 2, 2016

Nel 1986 una sofisticazione criminale, il vino al metanolo, colpisce l’Italia causando 23 Accade domanivittime, provocando cecità e lesioni gravi a decine di persone e anche un incredibile danno per il settore e per l’immagine del Paese. Da allora il mondo del vino è cambiato puntando sulla qualità legata al territorio, anziché sulla quantità a basso prezzo. Così la produzione di vino italiano negli ultimi trent’anni è scesa del 45%, passando da 76,8 a 47 milioni di ettolitri, ma il fatturato e l’export (espressi in valore nominale) sono cresciuti: rispettivamente più del doppio il primo, da 4,2 miliardi di euro a 9,4 miliardi, e oltre sei volte il secondo, da 800 milioni a 5,4 miliardi. E il nostro vino mantiene saldamente il secondo posto per quota di mercato globale col 19,9%. Questi numeri descrivono la rinascita del vino made in Italy dopo la crisi del metanolo, rinascita resa possibile dalla scommessa sulla qualità. Una storia che è anche una metafora della missione dell’Italia. Come dimostrano i dati del report ‘Accadde domani’ della Fondazione Symbola e di Coldiretti presentato oggi a Roma, infatti, la ricetta della qualità è valida non solo per il vino ma per l’economia tutta e si è mostrata vincente in molti settori: dall’agroalimentare alla meccanica, dall’abbigliamento al legno arredo, dalle calzature agli occhiali solo per citarne alcuni.

Quello che è accaduto dopo lo scandalo metanolo nel vino italiano – spiega il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci – rappresenta una straordinaria metafora della missione del nostro Paese. La domanda di Italia nel mondo è legata alla qualità, alla bellezza, alla cultura. Per intercettarla l’Italia deve fare l’Italia, andare avanti nel cammino intrapreso verso la qualità e puntare sull’innovazione senza perdere la sua identità. Questa parabola produttiva e culturale che ha nel vino il suo campione riguarda una parte rilevante della nostra economia. Questa tensione costante alla qualità rivela il cuore e il motore del made in Italy”.

Ora la nuova sfida è quella di rafforzare e difendere le posizioni acquisite combattendo la concorrenza sleale forte e agguerrita dei produttori internazionali che si concretizza nella vinopirateria con le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori piu’ prestigiosi che complessivamente provocano perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “a preoccupare sono anche i tentativi di minare la distintività delle produzioni come dimostra la recente discussione comunitaria sulla liberalizzazione dei nomi dei vitigni fuori dai luoghi di produzione che consentirebbe anche ai vini stranieri di riportare in etichetta nomi quali Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Negroamaro, Falanghina, Vermentino o Vernaccia, solo per fare alcuni esempi”.

Una strada, quella della qualità, seguita con successo da molte delle nostre imprese nei settori più diversi della nostra economia. Il report di Fondazione Symbola e Coldiretti analizza dunque anche altri prodotti italiani di eccellenza che hanno vinto al sfida della competitività puntando su innovazione e qualità. Nella filiera agroalimentare, ad esempio, siamo il Paese più forte al mondo per prodotti distintivi, con 282 prodotti Dop, Igp, St. L’export di scarpe è diminuito da 218 mila a 165 mila tonnellate in 30 anni ma il valore nominale è passato da 5 a 11 miliardi di dollari. Nell’abbigliamento in pelle l’esportazione è passata da 1.910 tonnellate a 2.254 tonnellate, mentre il valore è triplicato: 787 milioni di dollari a fronte di 233. Nella produzione di macchine per l’industria alimentare siamo passati da un export di 68 mila tonnellate (952 milioni di dollari) a 157 mila tonnellate, per un valore nominale complessivo a 4,1 miliardi: +333%.
Ecco nel dettaglio lo sviluppo qualitativo dei settori analizzati nel report:

Per 89 prodotti l’Italia è leader dell’agroalimentare nel mondo

Nella filiera agroalimentare, ad esempio, siamo il Paese più forte al mondo per prodotti distintivi, con 282 prodotti Dop, Igp, Stg. C’è poi il biologico: l’Italia è il primo paese europeo per numero di agricoltori biologici (43.852, il 17% del totale europeo). Questa ricchezza trova riscontro nei risultati economici della filiera: in ben 89 prodotti, sul totale dei 704 in cui viene disaggregato il commercio agroalimentare mondiale, il nostro Paese detiene il primo, secondo o terzo posto per quote di mercato. Nonostante l’Italian sounding che, puntando sull’attrattività delle produzioni italiane e spacciando prodotti che con l’Italia non hanno niente a che fare, sottrae alla nostra economia 60 miliardi di euro ogni anno.

Calzature made in Italy seconde per quote di mercato mondiale
Rispetto a circa trent’anni fa (1989) il numero di scarpe esportato è diminuito (da 218 mila a 165 mila tonnellate) ma queste scarpe che valevano 5 miliardi di dollari oggi (2014, valori nominali) ne valgono 11. Un ‘prodigio’ possibile grazie alla crescita del valore medio delle nostre scarpe: nel’89 era di poco inferiore alla media mondiale (-14%) oggi è straordinariamente superiore: +137%. È anche grazie a questo che in questo settore abbiamo mantenuto il secondo posto per quote di mercato mondiale, corrispondente oggi all’8,6%.

L’abbigliamento in pelle made in Italy non ha rivali
Nell’abbigliamento in pelle l’esportazione è passata da 1.910 tonnellate a 2.254 tonnellate, mentre il valore è praticamente triplicato: 787 milioni di dollari a fronte di 233. Usando un indicatore non soggetto all’inflazione, possiamo ricordare che i nostri prodotti, che nel 1989 valevano poco più della media mondiale (+20% del valore medio unitario mondiale) oggi valgono tre volte tanto (+233%). E mentre ancora nel 1996 eravamo solo al quinto posto nelle quote di mercato mondiale (6,7%) oggi siamo al primo (19,0%).

Occhiali, esportazioni d’oro
Passando dagli abiti agli occhiali possiamo vantare altri primati. Oggi vendiamo all’estero 6 volte le paia di occhiali che vendevamo nell’89, ma il loro valore è aumentato di quasi 10 volte, da 413 milioni a circa 4 miliardi di dollari. Il valore medio degli occhiali made in Italy, che nell’89
era piuttosto inferiore a quello medio mondiale (-23%), oggi è quasi 3 volte tanto (+272%).

Campioni di meccanica
Anche la meccanica è uno dei fiori all’occhiello del nuovo made in Italy: nella fabbricazione di macchine per l’industria alimentare nel 1989 esportavamo per 68 mila tonnellate e un valore di 952 milioni di dollari, oggi le tonnellate, e presumibilmente il numero di macchine, sono arrivate a 157 mila (+130%), il loro valore complessivo a 4,1 miliardi: +333%. Anche in questo caso più qualità e innovazione hanno fatto crescere valore e desiderabilità del made in Italy e così siamo passati dal secondo posto nelle quote di mercato del 1989 (16%) al primo di oggi (16,6%). E mentre nell’89 il valore medio dei singoli prodotti (valore medio unitario) era di molto inferiore a quello medio mondiale (-23%), oggi questo valore è pienamente in linea (-0,5%).
Ma la meccanica italiana è prima per quote di mercato anche nella fabbricazione di macchine per la metallurgia (18,9%), seconda per quelle per l’industria della carta e del cartone (15,3%), terza nelle macchine per l’agricoltura (8,5%), per le industrie tessili (9,9%) e nell’industria delle materie plastiche e della gomma (9,2%).

Dalle cucine italiane un export di 872 milioni
Tra i settori tradizionali del made in Italy non possiamo non citare l’industria del mobile.
Guardando al caso dei mobili da cucina, da esempio, le imprese italiane sono passate da 24 mila tonnellate esportate a 122 mila, circa 5 volte tanto (+408%) per un valore nominale dell’export cresciuto invece di oltre dieci volte, da 86 fino a 872 milioni. E manteniamo nel settore il 13,8% del mercato mondiale, grazie anche al fatto che nell’’89 le nostre cucine valevano sui mercati mondiali esattamente come la media mondiale delle cucine, mentre oggi valgono il 50% in più (valori medi unitari).

Il passaggio verso la qualità produce poi una riduzione del consumo di materie prime, nell’uso di energia, nella produzione di rifiuti e di emissioni di CO2. È insomma una scelta concreta per affrontare anche gli obiettivi della COP21 di Parigi, per contrastare i mutamenti climatici.
Una via italiana alla green economy. A trent’anni da quel drammatico 1986, dunque, la coraggiosa rinascita del vino italiano è un’indicazione preziosa per capire le radici e il presente del made in Italy, per affrontare i problemi che ne sacrificano le potenzialità, per tracciare nuove ambiziose rotte verso il futuro.